30 aprile 2012

L' Impresa

Quando avremo soldi da parte,
comprerò macchinari nuovi,
prenderò un capannone più grande
e ne avanzerà pure per pagare i premi produzione.

Quando ci liquideranno le fatture sospese,
recupererò ogni arretrato,
pagherò ogni straordinario
e riconoscerò perfino l'interesse legale.
Rientreranno tutti i cassaintegrati,
gli stagisti avranno contratti,
ed i collaboratori metteranno su famiglia.

Io le case so fare,
da che sono maggiorenne.
Com'è morbida la malta a vent'anni;
com'è dura a quaranta.

Preferirei essere ancora quel ragazzo con la pala in mano,
la canottiera sporca ed i jeans cadenti,
anzicché quello che - a mani vuote -
 in giacca e cravatta esce dalla Banca.

Questo deve fare l'imprenditore: l'Impresa.

Ma,
alla fine di quest'altro giorno,
tutta la rincorsa non basta ancora al salto,
né tutti i guadagni, messi insiemi, fanno uno.

25 aprile 2012

L'inseguitore

Roberta insegue.
Lo fa da seduta in uno spicchio di sole sul sagrato malconcio della sua vecchia chiesa.
Insegue con l'irruenza dei suoi venti anni e con una nuova cicatrice sul cuore.

Roberta insegue con gli occhi la bara del padre che passa un palmo oltre le facce dure di pochi parenti e tanti creditori.
Quando la bara entra nel carro funebre, Roberta avverte la vertigine di un nuovo tempo, di una nuova stagione di vita alle porte; di riflesso si aggrappa alla sua immaginazione e si lascia portare alla scoperta della sua gioventù andata perduta in una notte d'ospedale.

Guglielmo, accucciato al suo fianco, intanto riversa incessanti carezze, che lei subisce passiva.
Di risposta lo osserva ogni tanto sott'occhio e prova a misurare la distanza che passa tra lui ed un uomo: quando alla fine ne ha una stima precisa, con un sospiro, rinuncia anche all' immaginazione.

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Roberta ora insegue il corteo che si avvia a passo lentissimo per la salita, con la costanza ed il metodo del minatore contro la roccia.
Non spicca la sua assenza in prima fila, non si addicono i suoi tratti gentili e la sua figura minuta alle esternazioni plateali di lutto dei parenti.

Insegue quello sciame finchè non scompare dietro il primo tornante.
Misura le sue energie e capisce che non riuscirà a raggiungerlo.
In quell'istante comprende.
Roberta insegue perchè è partita in ritardo, è stata sorpresa dalla Vita, come un corridore distratto allo sparo dello starter.
Ed inseguirà sempre perchè la Vita non rifiata e non è disposta ad aspettare.

Avverte lo sconforto sulle spalle, come un peso che grava sulla nuca.
Allora siede lì, al centro della strada ancora bagnata di pioggia.
Piange senza lacrime e senza singhiozzi.
Alla fine - con sforzo sovrumano - si rialza e - pur barcollando per il forte senso di nausea - si rimette in marcia per la salita.



16 aprile 2012

Cucciolo di giraffa

Questa non è la storia della gazzella che si sveglia e corre, né quella del leone che cerca di predarla.
Questa è la storia del cucciolo di giraffa, che si prende per benvenuto al mondo un volo di due metri. E, caduto a terra, senza sapere bene dove si trovi né cosa gli sia appena accaduto, deve mettersi in piedi su quei quattro spilli che da quel momento userà per zampe e seguire la madre.

Nessuno glielo ha spiegato, al cucciolo, di alzarsi in fretta; eppure in qualche modo capisce che non c'è spirito materno nel regno animale tale da giustificare la cura di un figlio incapace di reggersi in piedi.

Dopo un'infinità di schiaffi ricevuti dalla vita, dopo una marea di calci presi e dati, al minuto 31 di una partita qualunque PierMario crolla al suolo.
Senza capire cosa stia succedendo, sa solo che deve tirarsi su alla svelta.
Allora punta mani e piedi sull'erba del campo e fa forza.
Un attimo dopo è di nuovo faccia al terreno.

Prova ancora uno sforzo, mentre ormai è in apnea.
Quando capisce che non si solleverà, cerca con l'ultimo barlume di vista le sue gambe, solide e muscolose, che l'hanno portato fino ai campi della Serie A.
Infine crolla.

Chi lo ha soccorso non dimentica nel suo sguardo spento la sorpresa di essere stato tradito da ciò su cui - unicamente - faceva affidamento.


11 aprile 2012

Burning Nairobi

Un morto, una bottiglia di colla.
Dieci morti, un kalashnikov.
Trenta morti il controllo di una banda.
Ma qui non si uccide per ambizione, lo si fa per passatempo.


Nairobi in fiamme.
Cumuli di immondizia carbonizzata, rivoltata da milioni di mani alla ricerca di rame e ferro.
In centro le luci artificiali di discoteche ed alberghi per turisti.
All'orizzonte la fiamma dei pozzi di estrazione.
Avvampano i neon contro le pubblicità dei resort di Malindi, bruciano le baracche di chi appartiene ad un'etnia sbagliata.

Dicono che un fratello di Luka sia scappato, che si alleni sugli altipiani ad ovest con Kipketer e Kiptanui; di un altro dicono che sia entrato in una missione cristiana e di lì lo abbiano spedito a Roma in seminario.
Luka annuisce senza sorridere, finge una seria ammirazione.
Finge di non averli visti tenersi per mano in una fossa comune; e - alla fine - un po' se ne convince.
Poi preme bocca e naso avidamente contro il sacchetto, mentre lo tiene mezzo strozzato con un pugno.

L'iperventilazione.
La polvere lega coi muchi, sciogliendosi.
Un pugno violento sullo sterno, un peso che aumenta, come se qualcuno ci  salisse sopra in piedi.
Lo stordimento, la pace.
Pure stasera la fame è passata, la disperazione è scomparsa.