28 ottobre 2011

Il doppiofondo

Claudio usa un doppiofondo, ed io l'ho scoperto.
Potrà ingannare gli altri con l'espressione rassicurante del viso, la voce pacata e le movenze misurate, ma non me, che sono prestigiatore come lui.
Non sarà deontologicamente corretto, ma sono convinto che è meglio svelare il trucco quando un gioco non riesce, così il pubblico crederà che si è sbagliato apposta, per fine didattico.
...e poi non esiste albo per gli illusionisti, per cui io svelo.

Allora: Claudio usa un doppiofondo.
L'ha sistemato lì, sul retro degli occhi.
Lo nasconde al pubblico con pupille dal magnetico color nocciola intenso.
Poi distrae chi riuscisse a superare quell'ostacolo con un leggero velo di lacrime.
Ma voi non fatevi ingannare, il doppiofondo è proprio lì dietro.

Claudio guarda la sedia vuota dell'ufficio, la gente accalcata intorno a lui nell'autobus, gli studenti all'uscita dalla scuola ed intanto nel doppiofondo proietta, sovrapponendo le immagini alla realtà.
Proietta la sua ex moglie, che nemmeno adesso riesce ad odiare e soprattutto i due piccoli figli dagli occhi scuri come due ghiande.

Al ritorno dal lavoro se li ritrova ad aspettarlo nella stanza d'albergo vuota e decide di portarli al parco a giocare sulle altalene.
Dalla finestra si guarda percorrere con loro la strada di passeggio di quella città lontana, li vede entrare dal cancello principale del parco, correndo verso i giochi.
Ma l'altalena stasera è occupata, c'è già un papà che spinge la figlia.

Claudio allora fissa le luci della città all'imbrunire e soffia in un lungo sospiro il crampo che gli ha preso dalla gola allo stomaco.
Poi, piano, chiude la finestra e spegne il giorno nel letto vuoto come una sigaretta nel posacenere.

26 ottobre 2011

Epifania

Mentre Rodolfo, il seminarista, sparecchia la tavola, don Andrea si affaccia dal balcone.
"Sempre lì la disgraziata..." dice rientrando, con un'espressione di sdegno misto a rimprovero da predica della prima domenica di quaresima.
Rodolfo finge di non capire mentre asciuga le poche stoviglie.

"Bisognerà pur fare qualcosa, avvisare i carabinieri..." insiste ad alta voce il prete, mentre indossa il giubbino e prende le chiavi.
"Io scendo, c'ho riunione con le ragazze. A più tardi."


"Le ragazze" è un gruppo di signore intorno ai cinquanta che organizza attività ricreative per i giovani della parrocchia con esiti disastrosi, almeno stando al numero di partecipanti alle attività, ormai costantemente al di sotto della decina di individui, tra cui figli e nipoti delle signore in questione.
Rodolfo non ha mai capito se Don Andrea le chiami "ragazze" perchè tutte più giovani di lui o per una forma di sottile sarcarsmo verso l'appellativo che si rivolgono vicendevolmente durante le riunioni.
Personalmente propende per la seconda ipotesi.

Solo dopo aver sentito la macchina del Don allontanarsi dalla canonica, Rodolfo si affaccia dal balcone.
La "disgraziata" è all'inizio dello stradone, dove finisce il cono di luce della tabaccheria.
Non è mal vestita, anzi ha un dolcevita bianco smanicato ed i jeans infilati negli stivali.
Quando si avvicina ai lampioni le si indovinano i capelli biondi e l'incarnato bianchissimo.

Arriva una macchina, abbassa i fari, le si ferma di fronte.
L'uomo all'interno non è visibile, la macchina è una familiare piuttosto comune..
Lei non si affaccia dal finestrino, non cerca contrattazione: soltanto sale, senza aprire bocca.

Qualcosa dentro Rodolfo gli suggerisce di rientrare, ma lui resta sul balcone, seguendo il percorso dell'auto, perdendola tra i palazzi, ritrovandola, riperdendola di nuovo, per poi riconoscerla definitivamente mentre entra nel parcheggio del cementificio abbandonato.
Di nuovo qualcosa gli suggerisce di rientrare, ma di nuovo resta fuori a seguire la scena.

Nonostante il gran giro, il cementificio è alla stessa distanza dalla canonica rispetto al luogo dove i due si sono incontrati.
L'illuminazione è quasi assente, ma comunque si riescono ad intuire le ombre dei due nell'abitacolo.
Non c'è reclinazione di sedili, non c'è tentativo di avvinghiamento.
Lui parla a lungo, con concitazione a giudicare da come gesticola.
Ogni tanto si interrompe mettendo la testa tra le mani e scuotendola lentamente.
Alla fine tira un pugno sul cruscotto e vi si abbatte sopra.

Lei è rimasta praticamente immobile dall'inizio.
Lo tira su per le spalle e lo accarezza sul viso per diversi minuti.
Dopo un po' lui si allaccia la cintura, rimette in moto ed escono dal parcheggio.

Rodolfo rientra, alla lunga l'umidità gli accentua la sinusite.
"La buona notizia è che non hanno consumato" gli capita di pensare; poi subito se ne vergogna.
C'è un pezzo di legno di pino marittimo, appeso alla parete della cucina, che reca l'incisione:
"Vi farò pescatori di uomini"
Si guarda le mani curate e diafane: non recano segni di reti.
Si volta verso la tabaccheria: la disgraziata è di nuovo lì, avanti e indietro sotto ai lampioni in attesa di altri clienti.

Strappa il legno dalla parete e lo butta nel camino.
Poi indossa il giubbino ed in fretta abbandona la canonica.

22 ottobre 2011

Pendolo

Quattro tornanti in discesa, lungo rettilineo, controcurva a destra e spunta Spoleto, sporgendosi dallo scoglio su cui è arroccata.
Uno spettacolo pazzesco le luci contro le mura del castello, nel cielo scuro trapuntato di stelle.

Quante volte è passato di lì, Lorenzo?
Prova a contare quanto fanno andata e ritorno, ogni quindici giorni, per gli ultimi due anni.
Prova a moltiplicare quel numero sbiadito per i chilometri - più di cinquecento - che separano il posto dove lui abita da quello dove lavora la sua ragazza.
Prova a immaginare lo scenario tre due giorni (ma in realtà lui pensa "tra una quarantina d'ore"), quando ripasserà di lì ed i giochi di luce saranno offerti dal cielo terso e dal sole tiepido del pomeriggio.
L'immagine gli arriva nitida, immediatamente, tanto che quasi si mortifica di avere una conoscenza così precisa di posti - dopotutto - non suoi.

All'improvviso sente addosso la fatica di dieci, cinquanta, cento viaggi.
Si chiede se abbia ancora senso quel rapporto vissuto come in un albergo ad ore.
Si chiede anche fin quando avrà la forza FISICA di proseguire in questo ping pong per l'Italia.
Gli pare che la sua vita abbia delle eccedenze, che sia troppa; troppa, e gliene basterebbe meno.
Accosta alla prima piazzola, scende e siede sul cofano, faccia al castello.

Per un po' fissa la luna gigante che, spuntando tra le colline, illumina la strada come un faro da palcoscenico.
Pian piano la Bellezza lo pervade come un'aroma di caffè, come il poggiarsi di una mano tiepida sul fondo dell'anima.
L'aria fresca di settembre lo investe e gli asciuga le lacrime fin dentro agli occhi.

C'è un cellulare nell'abitacolo che inizia a squillare ed altra strada davanti da percorrere.
Lorenzo asciuga il naso con la manica del giubbotto, rientra in macchina e riparte.

17 ottobre 2011

Vuoto a perdere

Nonostante i loro soprannomi la Clà, la Baby e la Lù sono più vicine ai quaranta che ai trenta.
Quei nomignoli se li sono dati in qualche ora di educazione fisica al ginnasio e se li sono lasciati addosso - come un cappello con le piume - per gli anni dell'università e quelli del lavoro.

La Baby schiaccia "caffè ristretto senza zucchero" e si appoggia con la schiena contro il distributore che inizia a macinare.
"Ieri sera con Luchino una tragedia.
Dovevo cucirgli il costume per la recita: son stata in piedi fino all'una, e lui di fianco a me che adesso gli pungeva la calzamaglia, adesso le maniche erano corte, adesso non gli stava il cappellino... un macello...."

La Clà fa di sì con la testa mentre gira il thè con lo stecchino di plastica, poi aggiunge:
"Non lo dire a me, guarda... la poesia di Natale la so più io che Giacomo.
Me l'avrà ripetuta duecento volte - che poi la sa anche, è solo che è insicuro e non vuol fare brutta figura con i nonni, piccino... pure le maestre però, con sta smania delle poesie in inglese!"

La Lù è appoggiata al muro.
In una mano tiene della cioccolata calda sulla quale soffia troppo lentamente per raffreddarla davvero.
Il sorriso è di quelli che ti metti in faccia quando hai perso un passaggio e sei tagliato fuori dalla discussione, lo sguardo è fisso su un punto inutile del brutto pavimento di gomma.
La Clà e la Baby continuano le loro chiacchiere non dando peso a quella estraniazione, scambiandola per stanchezza da troppo lavoro.

Invece la Lù sta pensando alla fetta di utero scaricata nel bagno di casa, al fatto che al solo guardarla ha capito all'istante e meglio che con qualunque ecografia che non ci sarebbero state né nausee né voglie, né pannolini né carrozzine, né fiocchi al portone né visite dei parenti.
E - in fondo al cuore - sta pensando anche che Alessandro le è stato vicino, ma come si fa con un malato, non con una moglie.

Poi beve la cioccolata bollente - che tanto pure se scotta fa niente - e rientra a lavorare.

13 ottobre 2011

Revoca

Le pareti del corridoio restituiscono l'eco dei miei passi mentre avanzo nel buio della casa vuota: vuota del profumo di cibo in cottura, vuota delle urla dei bambini che litigano, vuota delle impronte del cane sul divano.
Nessuna di queste cose c'è mai stata qui, ma adesso ho chiaro che non potranno neppure esserci, non in questo posto.

Pare di vedere le stanze, i mobili, l'illuminazione degli ambienti da un'altra, deforme, prospettiva.
La casa mi sta addosso come un maglione slabbrato che per affezione o pigrizia non riesco a mettere via.

Avevamo poco io e te.
Una cucina da completare ed uno sgabello su cui apparecchiare, l'uno in assenza dell'altro per via degli orari di lavoro.
Eppure non mi sono mai accorto di mangiare da solo.

Ora mi si sono asciugate le parole in bocca ed i pensieri in testa.
Quei pochi ancora in circolo mi dicono di aggrapparmi alla speranza che il tempo mi insegni a stare nella tua assenza.
Ma anche di rassegnarmi alla revoca del futuro che avevo immaginato.

6 ottobre 2011

FerroVecchio

‎"L’unico modo di fare un gran bel lavoro è amare quello che fate."

Steve Jobs


Per me va bene così, otto ore al giorno al tavolo da stiro nel seminterrato in cambio di una busta con dieci pezzi da cinquanta a fine mese.

"Già sbuffano i ferri" - dice il masto - "non possiamo metterci a sbuffare pure noi".
Neanche quando partono le centrifughe e tremano le pareti del locale.
Neanche alle tre del pomeriggio che pare un bagno turco con tutto quel vapore.
Neanche quando arrivano i carichi dei matrimoni dagli alberghi e si finisce a mezzanotte.
C'è la fila di polacche fuori alla porta.

Io non sbuffo e con il ferro percorro chilometri di tovaglie e asciugamani.
Le prime della giornata mi gratificano sempre: pare quasi di cercare l'ordine in mezzo a quell'insieme di pieghe e sgualciture.
Poi, dopo un po', mi annoio, inizio a sudare, la vista si affatica per colpa dei neon...
Allora vado avanti "in automatico", pausa su pausa, fino a fine turno.
Ma senza mai rallentare, nè lamentarmi.
C'è la fila di ucraine fuori alla porta.

La sera mi porto la vibrazione delle centrifughe fino a dentro al letto.
In più, da qualche mese, prendo regolarmente antidolorifici per la schiena, dovendo stare in piedi tutta la giornata.
Allora mi sale la paura di malattie improvvise, perchè so di non potermele permettere.
E mi viene pure il pensiero della pensione che non sto maturando.
Di nascosto mi chiedo se sia una condizione umana quella a cui mi sottopongo.

Poi penso che a tavola non ci metto la Dignità, e allora - rassegnandomi - trovo pace.
C'è la fila di cinesi fuori alla porta.


In memoria delle operaie cadute sul lavoro a Barletta.

4 ottobre 2011

San Lorenzo


Le pizze mangiate, le birre bevute, il falò ormai in brace, qualche stella alla fine caduta.
I panni umidi di tuffi fatti senza prima spogliarsi.
Le due di notte e nessuno di loro ha intenzione di lasciare la spiaggetta a ridosso del porto.
Lorenzo e Alessandro provano a convincere Francesca ad andare a ballare.
Francesca tiene testa ad entrambi, li sfotte, li provoca con una malizia che in realtà non ha, parla forte che così Michele sente quello che dicono e magari si intromette.

"Dai, andiamo a ballare, viene pure Michele..."
Di Michele, disteso a guardare il cielo lì affianco, si vede solo la punta incandescente della sigaretta che sale ritmicamente ad un'altezza dove dovranno pur esserci delle labbra, si affievolisce quando lui aspira, per un istante pare si spenga, poi riprende colore e riscende.
Stavolta la lucina rossa sale rivolta verso l'alto, segno che la sigaretta è tenuta tra pollice ed indice, mentre il medio è indirizzato ad Alessandro ed alla sua proposta di andare a ballare.
Lorenzo e Francesca ridono forte.

Mancano tre tiri dal filtro quando Michele spegne la sigaretta nella sabbia e si alza: "Venite voi con me?"
"Col cazzo!!" risponde Lorenzo.
Il medio gli restituisce Alessandro.
Il labbro inferiore si morde Francesca, che andrebbe immediatamente se non fosse per le ulteriori settimane di punizione che vedrebbe aggiunte a quelle che già le spettano per il ritardo di stasera.
"Vabbè, almeno datemi una mano..."

Alle 2.30 Francesca verso casa, Lorenzo e Alessandro verso qualche locale accendono i motorini.
Michele, in mezzo al MareNero, la lampara.

1 ottobre 2011

Intenzioni particolari

Lena ha più rughe in faccia che anni, e più pensieri in testa che rughe.
Emerge lentamente dalla penombra del fondo della chiesa, aiutandosi con la stampella e fermandosi ad intervalli regolari, in corrispondenza del capobanco.


MammaDelRosario oggi ho solo quattro monete e allora farò economia di raccomandazioni.

La prima è per Antonio, che sulla poppa del piroscafo pareva un attore americano in quel pomeriggio assolato e sorrideva piangendo per non far dispiacere mamma, urlando controvento "Appena arrivo vi scrivo".
E poi le parole se l'è portate via il vento e forse pure le intenzioni, perché dall'Argentina arrivarono solo cinque o sei lettere.

La seconda è per MicheleMio, che scelse di andare coi partigiani.

La terza è per Margherita, cresciuta senza conoscere il padre, che nel '68 se ne andò di casa seguendo il femminismo e l'amore libero per poi tornare dieci anni dopo con una separazione sul cuore e Chiara nel passeggino.

E l'ultima è proprio per Chiara che passa le giornate tra computer e televisione, senza nemmeno più cercare lavoro perché si sente già troppo vecchia, pensa che una della sua età nessuno la piglia.

MammaDelRosario tu sai sempre quello che devi fare, ma se puoi ascolta questa preghiera: fai che alla fine parta anche lei.