29 dicembre 2011

Sepolto

Dove è finito?

Tutto quello che ci siamo detti, tutto quello che ci siamo dati, tutto l'Amore che abbiamo fatto, le urla che ci siamo scagliati contro, le lacrime che abbiamo affogato, gli abbracci in cui ci siamo stretti, le volte cha hai avuto paura e mi hai cercato, le volte in cui ero per terra e mi hai sollevato, i nostri progetti, i risultati che insieme abbiamo ottenuto...

Che fine fa tutto questo?
Vorrei trovarne una traccia, un simbolo che mi dica che c'è stato davvero, che non l'ho sognato stanotte.
Vorrei un murales da cancellare, un lucchetto da forzare, un mucchio di foto da buttare, un mobile comprato insieme da smontare.

Invece il nostro Amore è finito sepolto, ne nascondiamo gli indizi come l'assassino con l'arma del delitto.

Resta soltanto questa fastidiosa scarica di adrenalina quando incrocio i tuoi occhi tra la folla.
Ma alla lunga, vedrai, riuscirò a dissimulare anche quella.

19 dicembre 2011

Il Demone

Godi, mio cuore.
Conta i tuoi battiti,
spalanca i ventricoli al silenzio,
sepolto in una bara d'acqua.

Nulla più di questo è la Morte,
non temere:
solamente quiete e riposo.

14 dicembre 2011

La neve e la ruggine

Nel piccolo ingresso della piccola pensione una piccola tv gracchia la sigla di apertura di Fantastico, deformando per la scarsa sintonizzazione il corpo statuario di Heather Parisi.

Il ragazzo entra, si scrolla la neve e la ruggine dalla testa, saluta l'anziana coppia di titolari avvolta nel plaid sul divano davanti alla tv - dei due risponde solo lei con un mugolìo gutturale - e si infila nella cabina telefonica.

Una volta dentro, estrae dalla tasca un mucchietto di gettoni, inserisce il primo nella fessura, rotea una decina di volte con l'indice la ghiera dei numeri fino al fermo in alluminio.
Tre squilli.
"Pronto?" chiede una voce roca, stanca, vissuta.
"Mà?"
"Salvuzzu, beddu... unne sei?" chiede la voce rinvigorita, ringiovanita all'improvviso.

"Alla pensione, mà...
Ma no che non sono tornato adesso, sto qua da un pezzo...
E che ora sarà stata, le sei, forse pure le cinque e mezza, che sono uscito dall'officina...

Certo che ho mangiato...
E che cosa... i piatti che fanno qua a Ivrea: la fonduta ho mangiato...
La fon-du-ta... tipo formaggio squagliato, bollente, mà...
Mà, che ti spiego? Qualche volta che vieni poi te la faccio assaggiare..."

Gettone.

"Al lavoro le solite cose: mica faccio lo scultore che ogni giorno c'è una cosa diversa... io le lamiere devo battere...
No che non mi ammazzano di lavoro: i turni, le pause, gli straordinari... tutto ci danno, non ti preoccupare.

Mica tanto freddo fa...
Tu non lo sentire al colonnello delle previsioni, quello deve esagerare...
Vabbè, domani il cappotto e il cappello... e pure i guanti, vabbene."

Gettone.

"La gente... come deve essere?
No che non sono razzisti, mà... tu la televisione non la devi stare a sentire...
E pure se fosse, mica me li devo sposare: basta che mi pagano a fine mese...
Sì, non ti preoccupare... mi sto accorto."

Gettone.

"Voi come state?
E papà? Dici la verità, sta guardando Heather Parisi...
Vabbè... ciao, buonanotte.
Vi voglio bene."

La cornetta viene agganciata all'apparecchio, i gettoni riposti nella tasca, il pianto affogato nella gola.


8 dicembre 2011

Vergogna

Due giri di boa di piume intorno alla gola, come se potessero qualcosa contro la tracheite, e poi: sipario.

Don't need to be beautiful to turn me on...

Mentre con falcata decisa guadagna il palo al centro della sala, Roxana (in realtà Rosaria) cancella dalla sua testa nell'ordine: il bancone ed il barista in fondo al locale; i due tipi dalla carne bianchissima e dai capelli biondi che continuano a parlare fitto tra loro, gesticolando con mani cariche di anelli e bracciali, incuranti dello spettacolo che comincia; il tavolo sulla sinistra - evidentemente un addio al celibato dove, come al solito, gli amici dello sposo cercano di convincerlo a desistere dal suo intento mostrandogli fino a che punto può spingersi la disperazione da scapolo.

...just need your body, baby, from dusk til down...

Resta solo lei, il palo da lap dance ed un uomo.
Sì, c'è un uomo seduto in penombra sulla sinistra che scrive su di un taccuino da cui non solleva mai la testa.
Non c'entra niente con quell'ambiente, non ha addosso l'ansia da sesso di chi frequenta quel club, probabile che addirittura non c'abbia mai messo piede prima di due o tre sere fa, quando Roxana l'ha notato per la prima volta.

...ain't no particular sign I'm more compatible with...

Mentre Roxana è a testa in giù, tenendosi con le gambe al palo, il seno nudo pendente verso il volto in modo innaturale, senza mai distogliere lo sguardo dal taccuino l'uomo inizia a leggere, con voce perfettamente misurata:

"Eleganza della nuca,
meraviglia di lineamenti
che la luce copre e svela
in un'aurora continua;

nitore dei seni,
delizia dei fianchi,
il giorno capovolto
pende
agganciato ai tuoi capelli..."


All'improvviso Rosaria si scopre nuda, in posa innaturale, sotto un nome non suo ed improbabile, in attesa della fine della canzone ben più che dell'apprezzamento di un branco di maschi arrapati.
Da qualche parte dentro di se sente risbocciare il fiore sepolto della Vergogna.

...just want your extra time and your kiss.

5 dicembre 2011

Non è mio

Quando si conclude la giornata e tutti sono già andati via, abbandona il bastone che usa per sostegno, si lascia andare sulla sua poltrona e contempla.
Rimira gli uffici enormi, pesantemente arredati, le statue in gesso all'ingresso ed il gioco d'acqua che ha fatto installare davanti alla sua stanza.
Con la mano irrequieta liscia le finiture, carezza le maniglie, cerca gli spigoli cromati delle sedie.
Inala profondo, come certi mammiferi che devono imparare l'odore del figlio per poterlo riconoscere.
Come un figlio per lui è quello spazio, e la sua discendenza è - più che altrove - in quell'immagine sfarzosa ed opulenta della sua azienda.

Tutto ha voluto curare - da solo - fin nei minimi dettagli: ha previsto la disposizione delle scrivanie, il dislocamento dei dipendenti, perfino l'orientamento delle mattonelle sul pavimento.
Ha spazzato via non solo chiunque si sia opposto, ma anche chi sia parso non del tutto convinto della necessità di quegli investimenti enormi.
Adesso, a lavoro concluso, affonda i sensi malandati nella sua creatura.

Perchè, prima di tutto, quel posto è un esercizio sensoriale, un orgasmo completo che - per quel giorno ancora - serra le difese della Vita contro gli avamposti della feroce Malattia che si porta dentro.

Così, per pochi minuti al giorno, non c'è più la montagna di debiti su cui quel gioco si regge, scompaiono i creditori e gli ufficiali giudiziari sempre alla porta, sbiadiscono i volti dei dipendenti vessati e disperati.
Esiste solo la violenta simbiosi tra lui e ciò che non è suo.


"Non è mio".
Pensiero resistente come un'incrostazione, sfacciatamente tenace.
Gliel'avrà impiantato la Malattia in qualche recondito anfratto del corpo, per renderne più difficile la rimozione.
L'ha covato involontariamente mentre il suo progetto prendeva forma, finchè ora - ad opera completata - gli è esploso dentro con inaspettata potenza.
"Non è mio" non è capriccio di bambino, è casomai anticipo di una dichiarazione di resa.


Adesso estrae un mazzo di tarocchi, camuffato in un tiretto tra le varie scartoffie.
Glielo regalò la sorella, quando ancora si rivolgevano la parola.
Mescola, alza e tira tre carte.

"Asso di Denari", "La Ruota della Fortuna", "La Morte".

Le osserva.
Sulla faccia scavata, da destra a sinistra, lo attraversa un'ombra di sorriso.
Rimette le carte nel mazzo e, testardo, mescola daccapo.


29 novembre 2011

Lamantide

Bella è bella, Elena, anzi bellissima: la grazia dei lineamenti rubata ai pittori rinascimentali, la misura dei modi all'aristocrazia inglese del primo '900, la prepotenza delle forme a qualche antica divinità greca.
Lei, ben consapevole di tutto ciò, sceglie di mostrare verso se stessa una misurata noncuranza che la rende - più che irresistibile - fatale.

Alla fine del lungo corso lui, appoggiato alla moto parcheggiata davanti alla gioielleria, tamburella con le dita su un piccolo pacchetto.
Prima ancora di vederla, si accorge delle sua presenza osservando le reazioni dei ragazzi, dei mariti e di conseguenza delle mogli in fondo alla strada.
Ostentando disinteresse per quel piccolo tumulto, lei avanza a passo svelto, lanciando furtivamente occhiate al suo riflesso nelle vetrine per verificare che la ciocca di capelli che le scivola dal basco sulla fronte abbia esattamente l'aspetto voluto.
Lui la vede, sospira, nasconde il pacchetto in una tasca.

In seconda media Elena si innamorò di Sebastiano.
Lo desiderò con un'intensità che non aveva ancora conosciuto.
Fece di tutto per procurarsi un incontro al quale lui, timido ed introverso, si presentò con lo sguardo di chi si consegna completamente.
Era all'uscita di scuola, un giovedì di marzo.
Mentre Sebastiano le andava incontro, Elena sostenne un istante in più lo sguardo di Martino, due anni più grande ma ripetente, che metteva in moto un Sì Piaggio scassato trattandolo come se fosse una Ducati.

"L'amore è una scala che bisogna percorrere finchè se ne hanno le forze.
L'amore, dopotutto, è questione di tempo."

La mantide femmina cannibalizza il suo partner durante l'accoppiamento.
Pare che lo faccia per avere risorse sufficienti per una buona ovulazione.
Mentre viene fatto vivanda, il corpo del maschio - la testa mezza mangiata - persevera nello sforzo riproduttivo.


19 novembre 2011

Millefoglie

"Sfoglia".
'onna Ntunietta sfila l'enorme teglia dal forno con dita nude che ormai non temono più il calore.
La pasta fuma dai minuscoli fori di cui è cosparsa la superficie, invadendo di profumo il piccolo laboratorio.
Con un gesto di spatola meccanico, rapido e risoluto, 'onna Ntunietta stacca la pasta dalla teglia e la depone, intatta, sul tavolo da lavoro, suscitando per l'ennesima volta la meraviglia di Luca e Alfonso, i due assistenti ai quali quella prodezza non è mai riuscita.

"Sparti".
Luca prende la rotella da taglio e tira linee dritte e precise: ne vengono fuori nove quadroni di pasta sfoglia pressocchè identici. Poi completa la separazione a mano, scottandosi i polpastrelli.
Ogni volta che la pasta si sbriciola, sente addosso senza vederlo lo sguardo di rimprovero dell'anziana pasticciera.
Ora attendono che la pasta si raffreddi.

Nell'attesa 'onna Ntunietta racconta la solita storia: il bar in mezzo alla piazza del paese, gli sforzi per avviare l'attività, la fatica per convincere il fratello a mettere su anche il laboratorio di pasticceria, il passaparola, la buona nomèa, la clientela crescente, le signore che prendono il numerino per comprare le paste di domenica mattina.
Con occhi chiusi e voce roca passa in rassegna tutti i ragazzi tenuti a bottega, alcuni oggi pasticcieri affermati, altri padri di famiglia.
Quando arriva la parte del fratello che dopo trent'anni su due piedi la licenzia, prendendosi il laboratorio ed i clienti, il profumo di dolce nell'aria è svanito.
Nelle pieghe di ogni Millefoglie questa stessa storia.

"O' janc".
Alfonso carica un saccapoche di crema bianca - guai a stenderla con la spatola, che la pasta si rovina. Lentamente disegna una strada di fitti tornanti su tre dei nove quadroni.
Appena ne completa uno, Luca ricopre il tutto con uno dei quadroni liberi, esercitando una delicata pressione sotto la quale la crema si distribuisce uniformemente fino al bordo, tracimando appena dai fori sulla superficie della sfoglia.
I ragazzi sono in gamba, 'onna Ntunietta...

"O' nir".
Stessa scena di prima, stavolta con crema al cioccolato.
... è il posto dell anuova pasticceria, 'onna Ntunietta: è isolato.
Impossibile che i clienti si arrampichino davvero fin quissù.

Così è la vita - pensa la vecchia - il bianco col nero: senza l'uno o senza l'altro si perde il sapore.

15 novembre 2011

Conquistadores

Sale l'aroma del caffè e si espande per la vallata deserta.
Oltre al gorgoglìo della moka, più nulla per chilometri intorno: fa quasi rumore lo spuntare del giorno.

Indosso tutto i panni che ho portato ma, nonostante questo, non riesco a staccarmi dal bivacco; eppure mi offro volontieri per la guardia dell'alba, quella più fredda.
Stanotte veglio su un'insolita carovana, distaccamento ad Herat di Caserta e Monopoli, avamposto afgano di Villasimius, Isernia e Cosenza.
Costretti da ordini superiori ad accamparci in un punto di coordinate ben definite, concordate con il Comando Internazionale, per poi riprendere il cammino verso Kabul domattina.
Il GPS conferma che il punto è esattamente questo, lungo l'unica strada nel mezzo dell'enorme deserto, uguale a se stesso per centinaia di chilometri.

Perchè qui?
Non l'accampamento, quello è impossibile da capire.
Proprio io: perchè io qui?

Fidanzato dalle medie con Susanna, diplomato con un anno di ritardo, un'estate senza mare per preparare l'esame nell'Esercito, con papà addosso a ripetere che il posto fisso era oro e mamma ad urlare che non voleva il figlio soldato.

La raccomandata aperta seduto al tavolo della cucina, senza capire se piangere o festeggiare.
Susanna che: "Prendere o lasciare".
Un matrimonio messo in piedi in tre mesi, preparando il vestito ma anche il borsone mimetico.
Un paio di giorni fuori stagione tra Ischia e Capri, la fede da stringere.
"La ritiro quando torno, Susy...".
Un tremito nella voce che non doveva esserci.

Quando torno non mi riconoscerai, Susy.
In mezzo a questo stesso deserto si trovano mine che riescono a sventrare un blindato e sorrisi di bambini in grado di farti saltare il cuore fuori dal petto per una Goleador.
Per queste stesse piste si incontrano mercenari armati fino ai denti dai russi e contadini che ti offrono l'infinitesima frazione d'acqua di cui dispongono.
E le donne, vessate con i burka, compatite da tutto l'occidente, portano nello sguardo una fierezza mai incontrata altrove, insieme alla consapevolezza di non dovere spiegazioni della loro povertà.

Fatti i conti, tre anni di missione dovrebbero bastarci a comprare una casetta a Marcianise o a Santa Maria.
Oppure potremmo venircene qua, e allora ci varrebbero una Vita.

11 novembre 2011

Ruins

Ies, iesovcors.

Mi hanno detto di dire così quando non capisco.
Chissà se funziona pure coi giapponesi.
Quelli ridono, fanno si con la testa e rifanno la stessa domanda.
Che ci vengono a fare tutti sti giapponesi qua? Secondo me prima o poi pure si scopre che l'hanno fondata loro Pompei...

Ten euros.

Giusto alle cinque doveva riprendere a piovere.
Non devo fare come l'altra volta che, per correre a ripararmi nella stazione della Vesuviana, sono scivolato e sono finito con la faccia nella lava di fango che scende lungo la strada.
Che poi il treno tanto per cambiare era stato soppresso e su quello successivo - che giustamente era strapieno - inchiavicato di fango com'ero, non mi hanno nemmeno fatto salire.
Sono rimasto un'ora nella biglietteria, solo io e i giapponesi che ridevano e facevano di si con la testa senza capire un cazzo.

Tri postcard uan euro.

Strano che non si è vista ancora Rosaria.
Starà finendo di catalogare qualche coccio o qualche colonna.
Oppure starà sistemando i teloni di plastica che si è portata stamattina.
Ha detto che almeno dove sta lavorando voleva evitare crolli.

Quando la mattina entra qua dentro e si mette il camice e poi la matita nei capelli, m'ammanc o' ciat (*)...
Io non capisco proprio chi glielo fa fare a un pezzo di guagliona come lei di passare le giornate qua dentro per quei quattro soldi: che problema c'ha a trovarsi a uno che la sistema?
Ci sta il figlio di don Saverio che ogni volta che passa qua fuori con la Lamborghini a controllare se le sue zoccole stanno battendo, rallenta, la saluta educatamente e le chiede se vuole un passaggio.
E quella non lo risponde proprio...

Madàm, di audiogaid....

Quando noi custodi andiamo a prendere il caffè e la troviamo al bar, fa sempre un sacco di storie perchè non vuole che paghiamo per lei. Alla fine accetta, ma solo se poi la riaccompagniamo dove sta lavorando.
Sono un paio di giorni che prova a ricomporre i pezzi di una tavola di legno carbonizzata. Dice che è un timone. Dice che Pompei era un porto strategico, perchè allora il Sarno era navigabile e da qua passavano tutte le merci prodotte nelle campagne intorno al Vesuvio.
Lei lo dice ma io non le credo: qua del Sarno arriva solo il fieto(**) nel mese delle conserve di pomodori.

Plis gentelmen, ui ar closing.




(*) mi manca il fiato
(**) il tanfo


4 novembre 2011

En plein air

Lame di luce filtrano dagli spiragli della persiana non del tutto serrata e si allungano sul pavimento nella stanza buia.
Percepisco il chiarore che aumenta senza sollevare le palpebre.
Per un bicchiere di troppo l'uscita di ieri sera mi ha lasciato in eredità la bocca acre ed un sottile mal di testa.
Tra non so quanto, suonerà la sveglia, con il tono più seccante e fastidioso che sa emettere.
Non controllo l'ora, cerco di non disperdere il tepore, scaccio i pensieri per guadagnare qualche altro minuto di sonno.
Ma quelli non se ne vanno.

Non solo è lunedì.
E' il lunedì dello sciopero dei mezzi, fermi tutta la giornata fuorchè nelle fasce protette in cui ci azzufferemo per un posto a sedere sul tram, impeccabili nelle nostre giacche e cravatte.
E' il lunedì delle consegne in ufficio, in cui cose discrete vengono rifatte da capo per essere perfezionate, finchè - a tarda sera - non risultano, finalmente, inutilizzabili.
E' il lunedì di ritiro delle pensioni e mi tocca - chissà quando e chissà come - andare a pagare le bollette alla posta.
Mettere il piede nudo sul pavimento freddo richiede praticamente un atto di coraggio.

Bi-bip, bi-bip, bi-bip, bi-bip, bi-bip...


Di questa sveglia ammiro l'insistenza.
Mi arrendo, mi alzo, do una manata alla cieca per fermare l'allarme, tiro su la persiana.
Tutto con gli occhi ancora rigorosamente chiusi.

Li apro.
Mi esplode in faccia l'estate a novembre.
Fin dove riesco a vedere, c'è aria limpida su Mare scurissimo.
Mi accorgo che sorrido.
It's a beautiful day.

28 ottobre 2011

Il doppiofondo

Claudio usa un doppiofondo, ed io l'ho scoperto.
Potrà ingannare gli altri con l'espressione rassicurante del viso, la voce pacata e le movenze misurate, ma non me, che sono prestigiatore come lui.
Non sarà deontologicamente corretto, ma sono convinto che è meglio svelare il trucco quando un gioco non riesce, così il pubblico crederà che si è sbagliato apposta, per fine didattico.
...e poi non esiste albo per gli illusionisti, per cui io svelo.

Allora: Claudio usa un doppiofondo.
L'ha sistemato lì, sul retro degli occhi.
Lo nasconde al pubblico con pupille dal magnetico color nocciola intenso.
Poi distrae chi riuscisse a superare quell'ostacolo con un leggero velo di lacrime.
Ma voi non fatevi ingannare, il doppiofondo è proprio lì dietro.

Claudio guarda la sedia vuota dell'ufficio, la gente accalcata intorno a lui nell'autobus, gli studenti all'uscita dalla scuola ed intanto nel doppiofondo proietta, sovrapponendo le immagini alla realtà.
Proietta la sua ex moglie, che nemmeno adesso riesce ad odiare e soprattutto i due piccoli figli dagli occhi scuri come due ghiande.

Al ritorno dal lavoro se li ritrova ad aspettarlo nella stanza d'albergo vuota e decide di portarli al parco a giocare sulle altalene.
Dalla finestra si guarda percorrere con loro la strada di passeggio di quella città lontana, li vede entrare dal cancello principale del parco, correndo verso i giochi.
Ma l'altalena stasera è occupata, c'è già un papà che spinge la figlia.

Claudio allora fissa le luci della città all'imbrunire e soffia in un lungo sospiro il crampo che gli ha preso dalla gola allo stomaco.
Poi, piano, chiude la finestra e spegne il giorno nel letto vuoto come una sigaretta nel posacenere.

26 ottobre 2011

Epifania

Mentre Rodolfo, il seminarista, sparecchia la tavola, don Andrea si affaccia dal balcone.
"Sempre lì la disgraziata..." dice rientrando, con un'espressione di sdegno misto a rimprovero da predica della prima domenica di quaresima.
Rodolfo finge di non capire mentre asciuga le poche stoviglie.

"Bisognerà pur fare qualcosa, avvisare i carabinieri..." insiste ad alta voce il prete, mentre indossa il giubbino e prende le chiavi.
"Io scendo, c'ho riunione con le ragazze. A più tardi."


"Le ragazze" è un gruppo di signore intorno ai cinquanta che organizza attività ricreative per i giovani della parrocchia con esiti disastrosi, almeno stando al numero di partecipanti alle attività, ormai costantemente al di sotto della decina di individui, tra cui figli e nipoti delle signore in questione.
Rodolfo non ha mai capito se Don Andrea le chiami "ragazze" perchè tutte più giovani di lui o per una forma di sottile sarcarsmo verso l'appellativo che si rivolgono vicendevolmente durante le riunioni.
Personalmente propende per la seconda ipotesi.

Solo dopo aver sentito la macchina del Don allontanarsi dalla canonica, Rodolfo si affaccia dal balcone.
La "disgraziata" è all'inizio dello stradone, dove finisce il cono di luce della tabaccheria.
Non è mal vestita, anzi ha un dolcevita bianco smanicato ed i jeans infilati negli stivali.
Quando si avvicina ai lampioni le si indovinano i capelli biondi e l'incarnato bianchissimo.

Arriva una macchina, abbassa i fari, le si ferma di fronte.
L'uomo all'interno non è visibile, la macchina è una familiare piuttosto comune..
Lei non si affaccia dal finestrino, non cerca contrattazione: soltanto sale, senza aprire bocca.

Qualcosa dentro Rodolfo gli suggerisce di rientrare, ma lui resta sul balcone, seguendo il percorso dell'auto, perdendola tra i palazzi, ritrovandola, riperdendola di nuovo, per poi riconoscerla definitivamente mentre entra nel parcheggio del cementificio abbandonato.
Di nuovo qualcosa gli suggerisce di rientrare, ma di nuovo resta fuori a seguire la scena.

Nonostante il gran giro, il cementificio è alla stessa distanza dalla canonica rispetto al luogo dove i due si sono incontrati.
L'illuminazione è quasi assente, ma comunque si riescono ad intuire le ombre dei due nell'abitacolo.
Non c'è reclinazione di sedili, non c'è tentativo di avvinghiamento.
Lui parla a lungo, con concitazione a giudicare da come gesticola.
Ogni tanto si interrompe mettendo la testa tra le mani e scuotendola lentamente.
Alla fine tira un pugno sul cruscotto e vi si abbatte sopra.

Lei è rimasta praticamente immobile dall'inizio.
Lo tira su per le spalle e lo accarezza sul viso per diversi minuti.
Dopo un po' lui si allaccia la cintura, rimette in moto ed escono dal parcheggio.

Rodolfo rientra, alla lunga l'umidità gli accentua la sinusite.
"La buona notizia è che non hanno consumato" gli capita di pensare; poi subito se ne vergogna.
C'è un pezzo di legno di pino marittimo, appeso alla parete della cucina, che reca l'incisione:
"Vi farò pescatori di uomini"
Si guarda le mani curate e diafane: non recano segni di reti.
Si volta verso la tabaccheria: la disgraziata è di nuovo lì, avanti e indietro sotto ai lampioni in attesa di altri clienti.

Strappa il legno dalla parete e lo butta nel camino.
Poi indossa il giubbino ed in fretta abbandona la canonica.

22 ottobre 2011

Pendolo

Quattro tornanti in discesa, lungo rettilineo, controcurva a destra e spunta Spoleto, sporgendosi dallo scoglio su cui è arroccata.
Uno spettacolo pazzesco le luci contro le mura del castello, nel cielo scuro trapuntato di stelle.

Quante volte è passato di lì, Lorenzo?
Prova a contare quanto fanno andata e ritorno, ogni quindici giorni, per gli ultimi due anni.
Prova a moltiplicare quel numero sbiadito per i chilometri - più di cinquecento - che separano il posto dove lui abita da quello dove lavora la sua ragazza.
Prova a immaginare lo scenario tre due giorni (ma in realtà lui pensa "tra una quarantina d'ore"), quando ripasserà di lì ed i giochi di luce saranno offerti dal cielo terso e dal sole tiepido del pomeriggio.
L'immagine gli arriva nitida, immediatamente, tanto che quasi si mortifica di avere una conoscenza così precisa di posti - dopotutto - non suoi.

All'improvviso sente addosso la fatica di dieci, cinquanta, cento viaggi.
Si chiede se abbia ancora senso quel rapporto vissuto come in un albergo ad ore.
Si chiede anche fin quando avrà la forza FISICA di proseguire in questo ping pong per l'Italia.
Gli pare che la sua vita abbia delle eccedenze, che sia troppa; troppa, e gliene basterebbe meno.
Accosta alla prima piazzola, scende e siede sul cofano, faccia al castello.

Per un po' fissa la luna gigante che, spuntando tra le colline, illumina la strada come un faro da palcoscenico.
Pian piano la Bellezza lo pervade come un'aroma di caffè, come il poggiarsi di una mano tiepida sul fondo dell'anima.
L'aria fresca di settembre lo investe e gli asciuga le lacrime fin dentro agli occhi.

C'è un cellulare nell'abitacolo che inizia a squillare ed altra strada davanti da percorrere.
Lorenzo asciuga il naso con la manica del giubbotto, rientra in macchina e riparte.

17 ottobre 2011

Vuoto a perdere

Nonostante i loro soprannomi la Clà, la Baby e la Lù sono più vicine ai quaranta che ai trenta.
Quei nomignoli se li sono dati in qualche ora di educazione fisica al ginnasio e se li sono lasciati addosso - come un cappello con le piume - per gli anni dell'università e quelli del lavoro.

La Baby schiaccia "caffè ristretto senza zucchero" e si appoggia con la schiena contro il distributore che inizia a macinare.
"Ieri sera con Luchino una tragedia.
Dovevo cucirgli il costume per la recita: son stata in piedi fino all'una, e lui di fianco a me che adesso gli pungeva la calzamaglia, adesso le maniche erano corte, adesso non gli stava il cappellino... un macello...."

La Clà fa di sì con la testa mentre gira il thè con lo stecchino di plastica, poi aggiunge:
"Non lo dire a me, guarda... la poesia di Natale la so più io che Giacomo.
Me l'avrà ripetuta duecento volte - che poi la sa anche, è solo che è insicuro e non vuol fare brutta figura con i nonni, piccino... pure le maestre però, con sta smania delle poesie in inglese!"

La Lù è appoggiata al muro.
In una mano tiene della cioccolata calda sulla quale soffia troppo lentamente per raffreddarla davvero.
Il sorriso è di quelli che ti metti in faccia quando hai perso un passaggio e sei tagliato fuori dalla discussione, lo sguardo è fisso su un punto inutile del brutto pavimento di gomma.
La Clà e la Baby continuano le loro chiacchiere non dando peso a quella estraniazione, scambiandola per stanchezza da troppo lavoro.

Invece la Lù sta pensando alla fetta di utero scaricata nel bagno di casa, al fatto che al solo guardarla ha capito all'istante e meglio che con qualunque ecografia che non ci sarebbero state né nausee né voglie, né pannolini né carrozzine, né fiocchi al portone né visite dei parenti.
E - in fondo al cuore - sta pensando anche che Alessandro le è stato vicino, ma come si fa con un malato, non con una moglie.

Poi beve la cioccolata bollente - che tanto pure se scotta fa niente - e rientra a lavorare.

13 ottobre 2011

Revoca

Le pareti del corridoio restituiscono l'eco dei miei passi mentre avanzo nel buio della casa vuota: vuota del profumo di cibo in cottura, vuota delle urla dei bambini che litigano, vuota delle impronte del cane sul divano.
Nessuna di queste cose c'è mai stata qui, ma adesso ho chiaro che non potranno neppure esserci, non in questo posto.

Pare di vedere le stanze, i mobili, l'illuminazione degli ambienti da un'altra, deforme, prospettiva.
La casa mi sta addosso come un maglione slabbrato che per affezione o pigrizia non riesco a mettere via.

Avevamo poco io e te.
Una cucina da completare ed uno sgabello su cui apparecchiare, l'uno in assenza dell'altro per via degli orari di lavoro.
Eppure non mi sono mai accorto di mangiare da solo.

Ora mi si sono asciugate le parole in bocca ed i pensieri in testa.
Quei pochi ancora in circolo mi dicono di aggrapparmi alla speranza che il tempo mi insegni a stare nella tua assenza.
Ma anche di rassegnarmi alla revoca del futuro che avevo immaginato.

6 ottobre 2011

FerroVecchio

‎"L’unico modo di fare un gran bel lavoro è amare quello che fate."

Steve Jobs


Per me va bene così, otto ore al giorno al tavolo da stiro nel seminterrato in cambio di una busta con dieci pezzi da cinquanta a fine mese.

"Già sbuffano i ferri" - dice il masto - "non possiamo metterci a sbuffare pure noi".
Neanche quando partono le centrifughe e tremano le pareti del locale.
Neanche alle tre del pomeriggio che pare un bagno turco con tutto quel vapore.
Neanche quando arrivano i carichi dei matrimoni dagli alberghi e si finisce a mezzanotte.
C'è la fila di polacche fuori alla porta.

Io non sbuffo e con il ferro percorro chilometri di tovaglie e asciugamani.
Le prime della giornata mi gratificano sempre: pare quasi di cercare l'ordine in mezzo a quell'insieme di pieghe e sgualciture.
Poi, dopo un po', mi annoio, inizio a sudare, la vista si affatica per colpa dei neon...
Allora vado avanti "in automatico", pausa su pausa, fino a fine turno.
Ma senza mai rallentare, nè lamentarmi.
C'è la fila di ucraine fuori alla porta.

La sera mi porto la vibrazione delle centrifughe fino a dentro al letto.
In più, da qualche mese, prendo regolarmente antidolorifici per la schiena, dovendo stare in piedi tutta la giornata.
Allora mi sale la paura di malattie improvvise, perchè so di non potermele permettere.
E mi viene pure il pensiero della pensione che non sto maturando.
Di nascosto mi chiedo se sia una condizione umana quella a cui mi sottopongo.

Poi penso che a tavola non ci metto la Dignità, e allora - rassegnandomi - trovo pace.
C'è la fila di cinesi fuori alla porta.


In memoria delle operaie cadute sul lavoro a Barletta.

4 ottobre 2011

San Lorenzo


Le pizze mangiate, le birre bevute, il falò ormai in brace, qualche stella alla fine caduta.
I panni umidi di tuffi fatti senza prima spogliarsi.
Le due di notte e nessuno di loro ha intenzione di lasciare la spiaggetta a ridosso del porto.
Lorenzo e Alessandro provano a convincere Francesca ad andare a ballare.
Francesca tiene testa ad entrambi, li sfotte, li provoca con una malizia che in realtà non ha, parla forte che così Michele sente quello che dicono e magari si intromette.

"Dai, andiamo a ballare, viene pure Michele..."
Di Michele, disteso a guardare il cielo lì affianco, si vede solo la punta incandescente della sigaretta che sale ritmicamente ad un'altezza dove dovranno pur esserci delle labbra, si affievolisce quando lui aspira, per un istante pare si spenga, poi riprende colore e riscende.
Stavolta la lucina rossa sale rivolta verso l'alto, segno che la sigaretta è tenuta tra pollice ed indice, mentre il medio è indirizzato ad Alessandro ed alla sua proposta di andare a ballare.
Lorenzo e Francesca ridono forte.

Mancano tre tiri dal filtro quando Michele spegne la sigaretta nella sabbia e si alza: "Venite voi con me?"
"Col cazzo!!" risponde Lorenzo.
Il medio gli restituisce Alessandro.
Il labbro inferiore si morde Francesca, che andrebbe immediatamente se non fosse per le ulteriori settimane di punizione che vedrebbe aggiunte a quelle che già le spettano per il ritardo di stasera.
"Vabbè, almeno datemi una mano..."

Alle 2.30 Francesca verso casa, Lorenzo e Alessandro verso qualche locale accendono i motorini.
Michele, in mezzo al MareNero, la lampara.

1 ottobre 2011

Intenzioni particolari

Lena ha più rughe in faccia che anni, e più pensieri in testa che rughe.
Emerge lentamente dalla penombra del fondo della chiesa, aiutandosi con la stampella e fermandosi ad intervalli regolari, in corrispondenza del capobanco.


MammaDelRosario oggi ho solo quattro monete e allora farò economia di raccomandazioni.

La prima è per Antonio, che sulla poppa del piroscafo pareva un attore americano in quel pomeriggio assolato e sorrideva piangendo per non far dispiacere mamma, urlando controvento "Appena arrivo vi scrivo".
E poi le parole se l'è portate via il vento e forse pure le intenzioni, perché dall'Argentina arrivarono solo cinque o sei lettere.

La seconda è per MicheleMio, che scelse di andare coi partigiani.

La terza è per Margherita, cresciuta senza conoscere il padre, che nel '68 se ne andò di casa seguendo il femminismo e l'amore libero per poi tornare dieci anni dopo con una separazione sul cuore e Chiara nel passeggino.

E l'ultima è proprio per Chiara che passa le giornate tra computer e televisione, senza nemmeno più cercare lavoro perché si sente già troppo vecchia, pensa che una della sua età nessuno la piglia.

MammaDelRosario tu sai sempre quello che devi fare, ma se puoi ascolta questa preghiera: fai che alla fine parta anche lei.

28 settembre 2011

Lavori in corso

Stiamo lavorando per voi.
Più chiaro di così non sapevamo dirvelo.

Mica è per noi che stiamo lavorando.
Alle nostre imprese il lavoro non manca, né abbiamo alcun interesse ad anticipare le consegne.

Quelli che lavorano nelle ditte più piccole riescono ad alternare con regolarità periodi di impiego e periodi di cassa integrazione o sussidio di disoccupazione - c'è gente che va di questo passo fino alla pensione.
Per noi delle imprese grosse - quelle delle gallerie, delle stazioni, delle autostrade, per capirci - è meglio di un posto statale, perché qui siamo al riparo pure da ribaltoni politici.

Destra e sinistra lo sanno che gli appalti toccano a noi.
E' vero, ogni tanto arriva quello che fa finta di non sapere, che vuol fare il "duro e puro": la contromossa è sempre uguale, sciopero fino alla paralisi e corteo dietro lo striscione su mogli e figli da sfamare.
Appena recuperato l'appalto, riponiamo tutto nel cassetto: lo striscione, i contratti sottoscritti con le relative date di consegna, le mogli e pure i figli.
Tanto noi lavoriamo per voi, mica per loro.

E se capite a fondo quello che vi sto dicendo, voi che siete in fila su quella specie di pista di kart per percorrere la quale pagate pure profumatamente, non affacciatevi nel cantiere, perché mi troverete fermo al primo intoppo, disarmato dal primo banale problema, in attesa dell'ingegnere, dell'assessore, del Ministro dei Trasporti che me lo venga a risolvere.

Magari a voi, che siete fermi in coda al caldo dopo una giornata di lavoro, questo potrà creare imbarazzo.

Scusate il disagio.
Stiamo lavorando per voi.

22 settembre 2011

Vistamare

Marco sdraiato di fianco a Roberta sul sediolino lato passeggero della Yaris di sua madre.

Marco appena sudato, con i muscoli che tremano ancora, con una mano disappanna un angolo del finestrino posteriore che non hanno fatto in tempo a oscurare, tanta era la fretta di stringersi.

Marco alza appena la testa e scopre attraverso il piccolo varco nella condensa il grandangolo sul Golfo, bagnato della luce crepuscolare che solo le giornate fredde e secche di febbraio sanno offrire.
C'è perfino la prima stella della sera, un palmo più su del cratere del Vesuvio.

Roberta un po' lo bacia sul collo, un po' guarda fuori anche lei.

In questo momento, con la strada vuota per la partita del Napoli, il rumore del mare attraversa la carreggiata e arriva fino alla piazzola di sosta.
Marco e Roberta pensano che tutto questo sia lì per loro, addirittura che sia SOLO loro e si sentono EREDI, a loro modo grati di tanta bellezza.
Non c'è posto, ora, nelle loro teste per i problemi, le ansie, le preoccupazioni; sono sicuri, ora, che non ne arriveranno, mai.

Dalla galleria arrivano invece i fari di un auto che poi lentamente parcheggia nella stessa piazzola, più distante che può.
Marco e Roberta si rivestono in silenzio, muovendosi il minimo e risollevando il sedile.
Poi l'urlo della Yaris che si accende copre il canto delle onde.

18 settembre 2011

Pirotecnica

Sasà ha iniziato a pulire portoni appena finite le scuole.
Pian piano è passato alle ville vesuviane, ai primi uffici, ha coinvolto quella che sarebbe diventata sua moglie e poi ha messo in piedi la ditta che oggi da lavoro a tre ragazze del posto - scelte non per campanilismo, ma semplicemente perchè costano meno delle rumene.

Alle sue dipendenti ripete ossessivamente di riportare a lui ogni problema logistico in cui si imbattono, ma di lasciare il posto più pulito che se fosse casa propria.

Sasà combatte quotidianamente con i ritardi di pagamento, la crisi, le aste al ribasso, il direttore della banca; ma lo fa con la forza di un giocatore di rugby e sempre son il sorriso stampato in faccia, anche quando mastica amaro.
C'è solo una cosa che spegne il sorriso di Sasà: i fuochi a giorno.

Con cadenza mensile pressocchè immutabile, in pieno giorno, da zone abbandonate del litorale vengono sparati fuochi d'artificio.
Ora, escludendo che si tratti di un santo patrono particolarmente ricorrente, si fa presto a capire che quei fuochi sono un messaggio in codice: potrebbero segnalare, ad esempio, la ricezione di un carico in buono stato.
E' il segreto di Pulcinella, in città lo sanno tutti - tutti tranne le forze dell'ordine, naturalmente, le cui caserme sono peraltro proprio a ridosso del litorale.

Questo infastidisce Sasà, ma non è ciò che lo manda in bestia: a queste latitudini come vanno le cose lo si impara da piccoli.
Ciò che gli annebbia la vista è la scelta dei fuochi di artificio.
Basterebbero dei semplici botti per recare lo stesso messaggio.
Invece con i fuochi sparati di giorno, quando nessuno può goderli, è trasmessa l'informazione aggiuntiva dello SPRECO a cui non c'è bisogno di badare, perchè marginale rispetto al ricavo ottenuto con quella partita.
E' un sistema di controllo del territorio molto migliore di qualsiasi pubblicità o intimidazione.

Ogni volta che iniziano i fuochi, anche quando è di fretta, anche quella volta che era in ritardo mostruoso e in banca il direttore era rimasto da solo ad aspettarlo, Sasà accosta, sputa sulla sua terra e la maledice.

15 settembre 2011

Calligrafia

Tentenna la penna tra le mie dita, io la stringo ma lei tentenna, inciampa tra le parole, singhiozza tra le virgole,  le "i" mi escono come signore che rincorrono il loro cappello preso dal vento, allora stringo più forte e calco la mano sul foglio, ma non è lì il problema, è piuttosto in questo inconfessato tremore di fondo che avverto, come un ronzio di motore in corrente continua, un moto autonomo che mi pervade dalle estremità, un focolaio di rivolta dei miei arti, pesantissimi eppure semoventi, che finora ho cercato di ignorare per poi arrendermi davanti a questa pagina scritta fuori righe, a queste lettere sbilenche e sfocate.

Pensa se stasera Eleonora mi chiedesse aiuto con le paginette: cosa le direi? Stasera papà non scrive bene?
Pensa Eleonora.
Pensa se perdessi il controllo dei miei arti ed avessi timore che, prendendomi la mano, lei se ne accorgesse.
Pensa se mi accartocciassi su me stesso come una foglia secca e non la potessi più tenere sulle spalle.
Pensa se adesso, a trentott'anni, scivolassi nella demenza: pensa a quanta Vita perderei di vista, la mia, la sua....

Pensa.

Tentenna la penna tra le mie dita, inciampa in un punto messo con foga a chiudere il foglio, rotola sulla superficie del tavolo e si ferma un istante in bilico sullo spigolo.

Poi cade a terra, andando in mille pezzi.

11 settembre 2011

Circumvesuviando

Con tutta la manina stretta intorno all'indice del papà, Niccolò passa il viaggio misurando la sua altezza contro i pantaloni dei passeggeri in piedi nel corridoio del treno.
C'ha messo poco a imparare quel ritmo fatto di frenate e partenze, soste ed accellerazioni, luci e bui; ha perfino scoperto che, guardando come si muove la carrozza davanti, può anticipare i sussulti dovuti al passaggio sugli scambi.

"Ti stai annoiando? Siamo quasi arrivati." gli arriva dalla voce del padre.
Senza alzare la testa, fa di "no" con la visiera del cappellino.

Sta cercando di guardare fuori dal finestrino, perchè qualcosa di questa sosta non gli torna.
Il treno è fermo da qualche minuto senza però essere in stazione.
L'ultimo annuncio diceva "Gianturco", poi delle parole che non aveva capito, poi "Piazza Garibaldi".

Intorno a lui c'è gran fermento: gli operai richiudono le carte da gioco nell'astuccio, gli studenti infilano i libri alla rinfusa nello zaino, gli avvocati recuperano le valigette dai portapacchi e le signore mettono il cappotto.
Niccolò osserva estasiato questo caos ordinato, scatenatosi senza preavviso ma all'unisono, sospettando che qualcuno abbia dato un segnale segreto che lui non conosce.

Il treno riparte, percorre pochi metri, viene ingoiato di nuovo dal buio, poi subito il bagliore delle luci artificiali.

Niccolò sente il rumore delle porte che si aprono e la mano del padre che stringe la sua.
Dopo succede che viene trascinato per un po' dalla folla che si muove: si accorge di uscire fuori dal treno e poi di essere su di un gradino che sale da solo.

Quando la nuvola di persone intorno a lui si dirada, il papà allenta la presa con la mano.
Allora la Città gli arriva addosso tutta insieme, permeando ogni poro: la luce naturale, il cielo turchese, il traffico, i semafori, le insegne pubblicitarie, gli impiegati a passo svelto, la borse per terra sui marciapiedi, le urla degli ambulanti, il cigolio dei tram, l'odore di salsedine e di sfogliatelle calde.

Un po' stordito e un po' disorientato, sorride pensando che è un posto più bello del parco giochi.
Benvenuto a Napoli, Niccolò.


Di solito un periodo di isolamento è conseguenza di catastrofi naturali.
Tagliata la Vesuviana,
con le FS del tutto disinteressate al trasporto regionale
e un'autostrada perennemente in corso d'opera,
non resta neanche uno straccio di terremoto o di inondazione con cui prendersela...

8 settembre 2011

Finchè la barca va

Questo è l'elenco delle lamentazioni sulle vacanze in barca che il gioielliere Orfei rivolge a Seymour, il senegalese ultimo arruolato nel suo equipaggio:

1) La barca è piccola: non bastano certo trenta metri di scafo e quattro cuccette; capita sempre che inviti qualche amico in più e non sai come muoverti, oppure che non lo inviti e ci fai brutta figura.
2) I posti barca d'estate costano uno sproposito: con quegli stessi soldi tanto vale andare in pensione.
3) I bagni con quelle pompe di risucchio che si intasano sempre ed alle volte lasciano perfino salire acqua da Mare: a parte che è anti-igienico, poi vorrei pure vedere che mi tocchi di pulire...
4) L'acqua razionata - alle volte sono costretto a farmi la doccia fredda perchè ci vuole troppo a farla riscaldare.
5) Il costo della benzina: 800 cavalli spingono discretamente, ma bevono anche...
6) La barca è grande: alle volte vorresti vedere una caletta o una grotta, ma sei costretto ad ormeggiare a largo ed usare il tender, che poi ti chiedi che senso ha avere quel barcone se finisci sul gommoncino di 2 metri...
7) Il Mare: quando lo prendi di lato è un'agonia per tutto il tragitto...

Seymour annuisce per cortesia, cogliendo solo qualche parola semplice dal lungo discorso.
Otto mesi fa era tra i 150 imbarcati su una barca poco più grande, 2000 euro a testa (ovvero tutto), Mare piatto e sole a picco tutto il giorno.
Ricorda i corpi scaricati in Mare per evitare la fatiscenza e la dissenteria sfogata contro i fogli di giornale.

Guarda la barca del gioielliere e la sua uniforme nuova e pulita: gli viene da sorridere e uno spicchio bianco come la livrea gli spunta in mezzo alla faccia nera.

5 settembre 2011

(F)ondamentale

Avrei preferito che fossi passata come un temporale d'estate, di quelli che poi esci all'aperto col naso all'insù contro un cielo ancora pesante, restando incredula di rimanere asciutta.

Oppure sparita all'improvviso senza spiegazione, senza nemmeno l'agonia dell'allontanamento, lasciando solo lo stupore del trucco riuscito al prestigiatore.

Invece hai scelto di evaporare lentamente come la schiuma dell'onda che si ritira - mentre ce l'hai ancora negli occhi ti ritrovi a fissare soltanto la sabbia.

Di un'onda scomparsa non se ne accorge nessuno: non il Mare, non la spiaggia, non i bagnanti.
Perfino a te - che la stavi osservando - viene da chiederti se c'era davvero o era solo fantasia.

E quando alla fine capisci che doveva trattarsi di pura immaginazione, invece trovi una conchiglia che ne conserva intatto il suono.

1 settembre 2011

Chiamala Invidia

Chiamala pure Invidia.
Così ci metterai di meno a capire perchè non rispondo più al telefono e per strada a stento ti saluto.

Chiamala pure Invidia, nessuna meglio di te sa che non mi interessa quello che pensa la gente.
Altrimenti ci sarebbe stato da piangere e impazzire, il mio girovita rotondo affianco al tuo corpo slanciato, la mia borsa Furla - quella buona - affianco alla tua Burberry trattata come un cestino di vimini, la tua sigaretta accesa in un nugolo di ragazzi affianco alla mia nausea solitaria da fumo passivo.

Che tu avessi me per migliore amica era un mistero per molti, perfino un'opera meritoria per qualcuno.
Non dirò invece che mi cercavi con l'insistenza delle tue insicurezze e con la frequenza con cui ti si presentavano i tuoi finti complessi, immediatamente sanati dalla mia venerazione e dalle umiliazioni che sottilmente sapevi infliggermi.

Che tu sia più bella e più intelligente l'ho sempre riconosciuto.
E pure più raccomandata.
Quale sia il motivo per cui hanno scelto me per il posto al comune non lo so davvero spiegare - bisognerebbe chiederlo alla racchia scrutinatrice.

Finchè non risponde, tu - se vuoi - chiamala pure Invidia.


27 agosto 2011

Taranta Power

Si gonfia e sbuffa come un mantice la lunga gonna bianca e i suoi ricami saltellano per aria, insieme ai nastri colorati legati ai polsi e alle caviglie.
Simona gira su se stessa come una trottola: sono un caleidoscopio le luci della piazza, la gente accalcata alle bancarelle, il sudore e le spallate di chi le balla affianco, il colpo secco delle nacchere e quello profondo della tammorra.

Ogni giro scarica dalla sua testa il traffico, i semafori, la metropolitana, la gente  di corsa, la puzza di smog, le serate di pioggia nella grande città.
Ogni giro allontana le preoccupazioni, il contratto in scadenza, l'affitto da pagare, l'ansia di non riuscire mai a sposare Giacomo.


Giacomo esce dall'ufficio a mille chilometri di distanza.
Esce in giacca ecravatta, pure se è ferragosto.
Si avvia a passo lento per l'enorme piazza, piena solamente di piccioni.
Pensa che Simona adesso sta ballando, come quando lui era sul palco con la chitarra in mano.
Sembra passato un secolo, pare il ricordo di una vita che non è la sua.
Con rabbia allenta il nodo al collo, perchè la cravatta lo sta soffocando.


Batte la tammorra, ed il tallone al suolo.
Batte e schizza il sangue verso il cuore.
E il cuore segue il moto della fisarmonica:
mescola sangue e musica, tenendo il ritmo.


23 agosto 2011

Centocinquantesimo

Già guardando la bandiera si dovrebbe capire - il verde da un lato, il rosso dall'altro: difficile scegliere colori più distanti tra loro.
In mezzo un bianco neutro e neutrale come una lettera di conciliazione..

Fascisti contro comunisti, padani contro terroni, bigotti contro mangiapreti.
Dipendenti o liberi professionisti, universitari o gieffini, generazione 1000 euro o figli di papà.

Mare o Montagna, o Mare d'estate e Montagna d'inverno, oppure entrambe fuori stagione, che costa di meno (cioè nè più Mare nè più Montagna).

Auto, che sto più comodo, o mezzi pubblici, che inquino di meno, oppure auto, ma solo quando c'è sciopero - cioè ogni venerdì; e comunque tutti odiano i motociclisti.

Totti o Del Piero, Gazzetta o Corriere, Milan o Inter e chissà come andrà a finire con lo scudetto 2006...

Traditori o cornuti, o cornuti che iniziano a tradire, o traditori redenti in attesa di cornificazione e quando sembra che hai trovato pace tutto comincia daccapo.

Vasco o Liga, Sky o Mediaset, presepe o albero, spesso entrambi, uno dei due comunque più controvoglia.

A chi chiede unità nazionale andrebbe risposto che, più che uno Stato, sembriamo un campo da tennis.

19 agosto 2011

Nuova leva

Studia, a papà, e prendi buoni voti.

Prendi buoni voti che papà ti porta a fare il bagno a Positano, in Sardegna, alle Eolie, a Santorini.
Via da depuratori guasti e stabilimenti strapieni, dalle siringhe nelle spiagge libere e dall'acqua marrone che il Sarno continua a scaricare a cielo aperto nell'indifferenza generale.

Prendi buoni voti che papà ti manda in vacanza a mangiare paella sulle ramblas, ad imparare l'inglese a Malta, a fare shopping sugli Champs Elysees.
Lontano dai cumuli di munnezza bruciati, dai parcheggiatori abusivi, dai cantieri aperti da tempo immemore e dal traffico paralizzato tutto intorno.

Prendi buoni voti che ti iscrivo all'università privata, alla LUISS, alla Sapienza, alla Bocconi.
Senza passare per treni sporchi e senza orari, aule strapiene, condizionatori guasti, computer dell'anteguerra e segreterie in balìa degli eventi.

Prendi buoni voti che te ne vai a lavorare a Roma, a Milano, a Londra, negli Stati Uniti.
Scordati dei disoccupati organizzati in corteo a piazza Carità, degli impiegati comunali in perenne pausa caffè, dei dirigenti raccomandati da politici, camorristi o sindacalisti.

Prendi buoni voti e poi vai via da questa terra, figlio mio.
Fai grandi cose anche per noi, costretti qui in trincea.

15 agosto 2011

Il bello è già venuto

C'è un timbro armonico e consolatorio che solo le persone anziane del proprio paese riescono a produrre - mi immagino che suoni così il coro degli Angeli.


"Vieni, a nonna, siediti un poco al sole ad asciugare.

La vedi questa spiaggia? Non è stata mica sempre così...
Quando tuo papà era piccolo ci venivamo col nonno, buonanima, e c'era la sabbia fin dove adesso ci sono le boe gialle.
Ed i palazzi che adesso se ne stanno cadendo tutti arrugginiti, allora non erano stati ancora costruiti.
C'erano solo alberi e piante e profumo di gelsomino.

Prima ancora, quando venivo a fare il bagno da signorina, non c'erano neanche le scogliere e nemmeno il molo di cemento.
Pensa che era un'unica spiaggia, grande e regolare per tutta l'insenatura.
L'acqua era più fredda allora, ma era pulitissima: si vedevano addirittura i pesci sott'acqua senza bisogno della maschera.

Quando avevo l'età tua invece, invece, mi ricordo che dalle grotte scavate nella montagna uscivano barche a vela per i signori più ricchi e velieri imponenti per trasportare le merci sull'oceano.

Lo sai poi cosa è successo?
Mica c'è stato un giorno in cui qualcuno ha detto "No, questo posto non mi piace più così com'è"...
Mica è venuto qualcuno a rubare la sabbia o a sporcare il mare di proposito...
Perchè se fosse stato così almeno avremmo qualcuno con cui prendercela, lo faremmo arrestare.

E' successo che abbiamo pensato che questo posto fosse così bello che un po' di bellezza potevamo venderla in cambio di case, alberghi, moli, scogliere, perchè tanto nulla sarebbe cambiato.
E invece, piano piano, tutto è cambiato: non solo sono diventati brutti i posti, ma soprattutto le persone..."

4 agosto 2011

Robbinudd

Mentre la scocca del motorino sprizza scintille stridendo contro l'asfalto bollente, Lello, disarcionato da un tombino affogato in mezzo alla carreggiata, pur essendo ancora in aria, già maledice.

Maledice le sirene della polizia che l'hanno costretto a voltarsi proprio mentre passava per quel dosso involontariamente scavato dalle piogge e dall'incuria dell'amministrazione comunale.

Maledice gli agenti che proprio quella mattina avevano deciso di fare un sopralluogo al campo ROM e gli zingaridimmerda, le loro baracche scassate, le loro roulotte fatiscenti, le loro femmine sporche che urlano come vaiasse.

Maledice Gennaro Capecazz.
Maledice il momento in cui l'ha convinto ad andare a rubare agli zingari, anzicchè in una villa di Posillipo o in una tabaccheria.
Già che c'è, maledice pure i tabaccai con i vetri blindati e quelli che fanno quei cazzo di allarmi costosissimi che comprano solo i ricchi, che alle volte varrebbe la pena rubarsi proprio l'allarme anzicchè il resto.

Maledice se stesso per essere andato a rubare completamente fatto di eroina e Gennaro Capecazz per averci messo sopra pure le birre.
Maledice che se l'è portato appresso e quello - dove si va a sentire male? - dentro una roulotte, e collassando si tira addosso pentole e coperchi, che così pure quelli che l'allarme non se lo possono permettere lo sanno che stai là.

Maledice il mezzo che non si accende, Gennaro che non arriva, le zingare che urlano, i bambini che corrono, i poliziotti che si guardano senza intervenire, gli uomini che sparano.
Più degli altri maledice lo zingaro chiattone che tira fuori dalla roulotte Gennaro Capecazz per i capelli e gli spara in bocca, coprendo il rumore del mezzo che finalmente si accende.

Maledice l'eroina, tutte le droghe del mondo, i pusher, i contrabbandieri, i boss, le crisi di astinenza, il metadone e le comunità.

Alla fine atterra nella lota a bordostrada, e - già che c'è - maledice pure le strade di Ponticelli che fanno schifo pure ai tossici.

Poi, svuotato, si consegna agli agenti.

1 agosto 2011

Distanze

Amico mio,
che salti la fila d'imbarco dell'aereo, in quanto parte del club esclusivo dei giaccaecravatta e gemellidargento;

Amico che non hai spazio per le felpe nella ventiquattrore - tanto qualche polo si può sempre comprare sul posto; pensa: Lacoste ha aperto perfino a Riad...

Amico che comprimi l'esistenza in una doppia uso singola, sciupando interminabili sabato sera e domeniche pomeriggio di pay per view, in attesa che il lunedì ti restituisca al salvifico Dio Lavoro;

Amico poliglotta, che mischi - come in uno dei cocktail che infinitamente sorseggi - inglese e italiano, lingue e accenti, usi e costumi da ogni parte del mondo;

Amico che ti sta stretta la provincia e i provinciali e i provincialismi e solo qui si vedono queste cose e solo qui le cose non vanno;

Amico mio, dopotutto io ti aspetto ancora qui, da dove siamo partiti.

Con i piedi sotto la sabbia ed il Mare alle ginocchia.

28 luglio 2011

Trompe l'oeil

Cos'è stato?

Il rumore di prima, dico: non pareva venire dalla mia bici.
Prima un fruscio tra le foglie, poi una specie di grido strozzato: a giudicare da come era acuto poteva essere un gemito di una ragazzina.

Mi pare venisse dal lato della strada, probabilmente dal sentiero tra i pini; ma non qui, più avanti...
Magari all'altezza di quei cespugli dove c'è un signore anziano che - ora che mi avvicino - pare respirare a bocca aperta, parecchio affaticato.

Anche se ne vedo solo mezzo busto - il resto è coperto dal cespuglio che ancora si muove - mi accorgo chiaramente che è sudato, tanto che con una mano si asciuga la fronte e i baffi, mentre con l'altra stringe quello che potrebbe essere un bastone...
O chissà che altro...

Poi dal cespuglio sbuca un'esclamazione:
"Nonno, guarda che ho trovato!", insieme ad una mano che mostra trionfante alcune fragoline di bosco.

"Brava Margherita: adesso riposiamoci un po'..."

Pendiamo dalle labbra di una generazione perversa.

22 luglio 2011

L'urlo

Si abbandonerebbe pure ad un sonno profondo e agognato Mattia, stanco com'è stasera, se non fosse per le dita affusolate e gelide di Sabrina che prendono all'improvviso a carezzargli l'addome.
Lui finge - male - disinteresse e resta sdraiato sul fianco, volgendole le spalle, ad occhi chiusi.
Impercettibilmente le mani di lei si spostano sulla cicatrice dell'appendicite e, poco alla volta, guadagnano le cosce.

Mattia allora si gira di scatto e siede sul bacino di lei che, di risposta, si puntella su spalle e glutei inarcando la schiena.
Col braccio Mattia intuisce quel varco, si infila e le cinge la vita - un po' meno che afferrare in realtà, in virtù della misura di dolcezza usata in quella manovra.
Nella stanza buia rilucono i seni rotondi e la pelle dorata, su cui Mattia inizia una danza di baci e delicati morsi.

"Mi vuoi?"
Sabrina annuisce ansimando.
Mattia fa finta di nulla e continua nel suo rituale.

Dopo poco viene preso per i capelli.
"Mi vuoi, adesso?"
Sabrina sorride estasiata, ormai è su un altro pianeta.
Lui ricaccia la testa sotto le coperte e riparte.

Quando sente le dita fredde aggrappate fin dentro le costole, Mattia decide di entrare.

Bolle Mattia, effluvia Sabrina.
Lui prova a controllare l'eccitazione, sciogliendola in un movimento misurato e ritmico, copiato dalla risacca che segue la mareggiata.
Eppure tale è il coinvolgimento di Sabrina, tale il piacere che le illumina il volto, che Mattia desiste dall'autocontrollo e si abbandona agli istinti ancestrali.

Come un calcio nelle viscere, all'improvviso gli schizza il seme impazzito, riversandosi nel ventre di Sabrina con naturalezza, come in un esperimento di vasi comunicanti.

Mattia le vuol dare altro piacere.
Continua.
Anzi, aumenta il suo ritmo.

Sabrina sente il calore sotto l'addome.
Per un istante vede il volto di Mattia imperlato di sudore.
Reclina la testa all'indietro e si abbandona al piacere.
Sente l'orgasmo salire potente dai piedi, dalla terra che sta sotto il letto.
Gonfia i polmoni, i seni, il torace.
Prepara un urlo liberatorio da far tremare i vetri.
Lo spinge fuori più forte che può per la trachea...

Succede che l'urlo non esce, è perso per strada.
Finisce nel deposito nascosto in cui cadono tutte le parole non dette da Sabrina, dal giorno in cui è nata.

Mattia si ferma un istante e la osserva.
Poi si accascia nel suo lato del letto, senza espressione in viso nè pensieri in testa.
Si abbandona ad un sonno senza sogni.

Domani mattina alle sei c'ha da mimare le notizie del primo TG.

18 luglio 2011

Pubblicità

In una vetrina.
In una vetrina di Tiffany.
In una vetrina di Tiffany a Roma.
In una vetrina di Tiffany a Roma, Via del Babbuino angolo Piazza di Spagna.
In una vetrina di Tiffany a Roma, Via del Babbuino angolo Piazza di Spagna, c'è un brillante.

Vicino al brillante c'è un biglietto.
Vicino al brillante c'è un biglietto strappato da un bloc-notes.
Vicino al brillante c'è un biglietto strappato da un bloc-notes e scritto a penna.
Vicino al brillante c'è un biglietto strappato da un bloc-notes e scritto a penna con tratto evidentemente agitato.
Vicino al brillante c'è un biglietto strappato da un bloc-notes e scritto a penna con tratto evidentemente agitato che dice:
"Non voglio altri giorni senza il tuo sorriso."

Davanti a una vetrina di Tiffany a Roma, Via del Babbuino angolo Piazza di Spagna,
Davanti a un brillante,
Davanti a un biglietto strappato da un bloc-notes e scritto a penna con tratto evidentemente agitato che dice:
"Non voglio altri giorni senza il tuo sorriso."
Alcune donne si fermano e si commuovono.

Poi passano alla vetrina successiva: altro brillante, altro biglietto melenso.
E pure in quella dopo e nell'ultima in fondo.

Un po' sorridono, un po' si incazzano, un po' capiscono il messaggio:
"Meno sogni e più carta di credito".

14 luglio 2011

J.O.B.

Caldo che nemmeno la notte da un po' di sollievo - quanto avrò dormito? un'ora forse due - avanti e indietro tra bagno e letto col pigiama che si azzecca addosso dal sudore e il ventilatore che dondola contro il soffitto - domani mi sveglierò col torcicollo macchissenefrega, fammi chiudere occhio solo un'altra mezz'ora, che domani è già qua, non li senti i motorini nel vico, la signora Concetta che trasmette la sigla di unomattina, la puzza di munnezza che inizia a scaldarsi al sole e tra un po' si sveglia pure a'criatura e se non trova il latte si mette a alluccare e allora fammi alzare, fammi accendere il gas, fammi mettere su il caffè, ma tra un minuto, un minuto soltanto, il tempo che la sveglia smette di suonare e il parroco la finisce di scampaniare e tu guarda se questo proprio di qua doveva passare col camioncino, a quest'ora, ma chi se li accatta i melloni saporiti?

Basta, ho deciso.

Jamm O'Bagn.

( In napoletano il verbo "andare" può essere usato in modo transitivo:
succede quando il movimento assume connotazione di urgenza immediata e libertoria,
come se la fretta consigliasse perfino il risparmio di una preposizione. )

10 luglio 2011

Tertium datur

Questo racconto è vuoto, perché occorre spazio per ospitare la signora Annamaria.
Nessuna dieta, nessun dottore, nessuna medicina alternativa hanno avuto successo nel tentativo di contenere la sua massa imponente.
Per me disse bene il sacerdote quando la venne a trovare: per un cuore così grande c'è bisogno di un corpo abbastanza capiente.

In effetti la signora Annamaria è una professionista del preoccuparsi degli altri, una instancabile lavoratrice del dare - materialmente e spiritualmente.
Non ammette, ad esempio, che si esca da casa sua a mani vuote - per ognuno ha da parte un pezzo di cioccolata, una bomboniera, un piccolo regalo.
E poi è un continuo intercedere, insistere, contattare conoscenti per ogni tipo di necessità.
Quando la vado a trovare è tale la premura nell'informarsi su quello di cui ho bisogno, nel darmi consigli, nel rivolgermi bonari rimproveri che finisco per pensare di essere io quello costretto a letto, attaccato ad una flebo.

Quando tutti avranno preso dalla sua dispensa, dal suo comò, dai suoi armadi, dalle sue forze, la signora Annamaria capirà di non aver più niente da dare e chiuderà gli occhi.

Allora non ci saranno commemorazioni solenni, nè se ne accorgeranno le autorità.
Soltanto, come alla fine di un concerto o davanti ad un'opera d'arte, un lungo applauso si alzerà dal fondo della strada.



6 luglio 2011

Elogio dell'Intifada

Quando non avremo caricato le nostre pistole,
e non ci saremo procurati né mitra né armi;

Quando i nostri proiettili
fatti di fischi, urla e tamburi
rimbalzeranno contro tute mimetiche e scudi di plastica;

Quando la carica improvvisa sorprenderà alcuni di noi;
e - accartocciati a terra - difenderemo gli organi vitali,
lasciando il resto del corpo in attesa delle manganellate,
disordinate ed incessanti;

Allora ci difenderemo con la nostra Terra.

Da Susa a Terzigno,
da Tripoli a Piazza Tahrir,
strapperemo pietre al nostro suolo,
abbatteremo i nostri alberi, incendieremo le nostre strade,
distruggeremo con le nostre mani il nostro patrimonio.

Ma non vi lasceremo la soddisfazione
di privarci del nostro futuro.



1 luglio 2011

Ulisse

"Dove sei stato finora?"
Lei è distesa sul letto, in faccia l'espressione del sonno che tarda a venire.

"Te l'ho detto, era impossibile tornare prima..."
Lui risponde dalla terrazza.
Beve vino passito, rivolto verso il Mare.

"Dimmi che non sei stato con altre donne."
Gli ulivi sono gocce d'argento nella Notte sull'Isola.

"E tu che non sei mai stata con altri uomini."
Dopo un po' lui rientra e siede sul letto:
"In fondo che importa: conta solo che siamo qui, insieme, ora.
Perdoniamoci."
Passa il tempo che la Luna impiega a calare sull'orizzonte.

"Non è perdono questo.
Questo è pareggiare i torti.
Questa è l'anticamera del sospetto, la premessa della giustificazione."
Mentre lei parla, si tira su in mezzo al letto.
"Se ne sei capace, perdonami senza richiedere nulla in cambio, senza sentirti dalla parte della ragione."

La brezza gonfia come una vela la tenda di cotone, mentre una voce di uomo pare dire:
"Vado via".

Ah, dimenticavo: l'Isola si chiama Formentera.

28 giugno 2011

Un paese per vecchi

Quando, caricato l'ultimo zaino sull'ultima spalla,   l'ultimo giovane si incamminò via dal paese, allora capimmo che eravamo rimasti vecchi tra i vecchi.

Improvvisamente si rivelavano vecchie le insegne, vecchi i palazzi, vecchia la divisa dei vigili e vecchie le pubblicità nella vecchia stazione.

Tra di noi distinguevamo ancora i più e meno anziani, e tra i vecchi alcuni ostentavano volgarmente giovanilismo.
Ma era una differenza percettibile come una sfumatura di rosso in un campo di papaveri.

Ci accorgemmo presto che non c'erano più Tradizioni da tramandare, Eredità da lasciare, Patrimoni da accumulare.
Parole come Patria, Casa, Lavoro si erano completamente svuotate di significato e pure sui sentimenti si era depositata una patina ingiallita.
L'Amore, ad esempio, era diventato una declinazione dell'Affezione.

Quando l'ultimo giovane andò via dal paese, con lo zaino pendente di Incoscienza ed Entusiasmo, noi rimanemmo più saggi,  ricchi, quieti e disperati di prima.

23 giugno 2011

Controluce

Succede alle volte che la Vita segnali alcuni istanti usando profumi, colori o sapori speciali, per dire che quei momenti li prenderai con te, ti faranno compagnia lungo il cammino.

Quel tardo pomeriggio alle scogliere lontane, ad esempio, soli io, te e le canoe.

E tu eri controluce come la prima donna al mondo, i capelli impegnati a seguire la brezza.
E ridevi, col suono dell'onda tra i sassi.

E tu eri trasparente che ti si vedeva in fondo all'anima affacciandosi dall'orlo degli occhi.
E così vicina che non c'era nemmeno bisogno di baciarsi.

Lo senti anche tu quel tepore di tramonto, ricordi anche tu quel profumo di pelle e salsedine, proprio adesso che una mano più forte ti tira verso una macchina elegante.

Ed io un po' rido, un po' piango, un po' lancio in aria riso e confetti.

19 giugno 2011

Datti all'ippica

Sarracinu Sarracì.
(carezza pesante che scorre lungo il muso fino alle narici)

Comm' è ca te chiammavano ll'Americani, quanno venivano a jucà 'e ccorse a Agnano?
E chi se ricorda cchiù, Sarracinu mio...
(sbuffo di cavallo dalle narici)

Nè io e nè tu ce ammeritammo sta munnezza.
Sti corse pe 'e vvie tutte scassate, all'ultima ora 'a sera, int'a l'ummido, cu macchine e motorini pe fa' a luce.

Io e te ce ne jamm a ccà, sta tranquillo.
Damme sulo o tiemp 'e apparà 'e riebit.
Famme fa na cosa 'e sord e ce ne jamm.
Basta cu 'e cravattari, basta cu sta ggente e' miez a' via, basta cu nandrolone e cocaina.

Turnamm a Agnano e all'Americani 'e facimm ascì ll'uocchie a fore.

Aivori.
Accussì te chiammavano - te arricuorde, Sarracì ?
Aivori, aivori...

(colpo di pistola e tonfo sordo nella stalla)
(colpo di pistola e tonfo più lieve)